Gli esseri umani hanno più o meno le stesse paure degli altri animali superiori, oltre a un certo numero di paure a cui solo i primi sono soggetti. Alcune paure sono facilmente comprensibili e condivisibili, come quella di essere disapprovati, puniti o emarginati, di perdere il lavoro ecc. Altre sono paradossali, poco comprensibili e spesso inconsce, nascoste o mistificate. Mi riferisco alle paure di cambiare, di esseri liberi e di ragionare (cioè pensare e percepire la realtà nei suoi fatti e nelle sue possibilità).
Sulla paura di cambiare vedi il mio articolo Paura di cambiare, empatia e dispatia.
Sulla paura di essere liberi vedi il mio articolo La mia paura che la mia libertà aumenti
Nel seguito tratto della paura di ragionare, e più precisamente della paura di ragionare sui fatti umani e di affrontare la realtà.
La facoltà di ragionare (o pensare o percepire la realtà) permette di fare analisi, sintesi, misure, confronti, previsioni e valutazioni riguardanti realtà, fenomeni ed esperienze di ogni tipo, relativamente al mondo fisico e a quello umano e sociale. Le scienze naturali si occupano di ragionare relativamente alla natura fisica, mentre le scienze umane e sociali, la filosofia e le religioni si occupano di ragionare sulla natura umana.
Ragionare sull'Uomo comporta inevitabilmente un'etica, cioè lo stabilire quale comportamento sia più o meno giusto o sbagliato, utile, inutile o dannoso rispetto a determinati fini sociali e in particolare rispetto al bene della comunità a cui si appartiene, a partire dalla definizione del bene e dei fini stessi.
Il ragionare sull'Uomo comporta di conseguenza una serie di problemi e di inconvenienti, dal momento che gli esiti del ragionare potrebbero determinare che il nostro comportamento è socialmente sconveniente o nocivo e dar luogo ad una nostra condanna ed eventualmente a una nostra punizione da parte degli altri membri della comunità, proprio in "ragione" degli esiti del comune modo di ragionare. Del resto, proprio su questo meccanismo si basa il diritto e la sua applicazione attraverso le leggi dello Stato, oltre alla morale religiosa.
Un modo per sfuggire al pericolo di essere condannati dalla ragione è quello di squalificarla, di abolirla o di annacquarla, di creare in essa delle lacune, dei vuoti utilizzabili per rendere impossibili dei giudizi morali certi e per giustificare comportamenti altrimenti reprensibili.
La ragione è come un poliziotto, davanti al quale non siamo mai rilassati perché non siamo mai sicuri di non aver fatto qualcosa di illegale, di irragionevole, di irrazionale, di stupido. D'altra parte è impossibile non comportarsi, anche e soprattutto, in modo irrazionale, e perciò dovremmo tutti essere tolleranti e comprensivi in tal senso, sia per quanto riguarda il comportamento altrui che il nostro. Come diceva infatti Leopardi, "nessun maggior segno di essere poco filosofo e poco savio, che voler savia e filosofica tutta la vita."
Gli esseri umani si distinguono, tra l'altro, per il loro atteggiamento nei confronti della ragione e del ragionare. Amano e coltivano la ragione coloro che si sentono in armonia con essa, che sanno di comportarsi in modo sufficientemente ragionevole, socialmente corretto, mentre temono e disprezzano la ragione coloro che sanno (consciamente o inconsciamente) di comportarsi in modo eccessivamente irragionevole o socialmente scorretto.
In realtà non esiste una Ragione universalmente accettata, come non esiste una verità unica e assoluta, ma ci sono diverse scuole di pensiero e di modi ragionare, per accontentare i vari modi di comportarsi e i vari sistemi morali. Ognuno infatti sceglie l'etica che lo assolve e combatte le etiche che lo condannano.
Per quanto riguarda le mie esperienze sul tema in oggetto. mi sono reso conto che spesso le persone con cui parlo sono infastidite, disturbate dalla mia razionalità così coerente, lucida, incisiva, inattaccabile e mi rimproverano implicitamente (a volte anche esplicitamente) di essere troppo razionale, di non lasciare spazio alle mie emozioni, di non esprimerle, o di essere del tutto incapace di averne. Ma io che so quanto siano forti e vive le mie emozioni e le mie passioni, penso che quelle critiche siano solo l'espressione di una paura di essere giudicati inadeguati o sbagliati rispetto alle "mie ragioni" o rispetto a qualunque ragione coerente e non lacunosa.
La maggior parte della gente non ama ragionare, evita di farlo per non autocondannarsi, e si sente a disagio quando interagisce con qualcuno che invece ama ragionare. I più preferirebbero parlare in modo poco razionale, soprattutto non critico, non giudicante, non etico e possibilmente apologetico del loro comportamento. Specialmente nella nostra epoca le emozioni sono "in" e la ragione è "out", come se le due cose fossero mutualmente esclusive, il che non è. Infatti, per me la ragione più "vera" è quella che assegna alle emozioni il posto più importante nell'universo umano pur tenendo conto delle conquiste (provvisorie per definizione) delle scienze sia naturali che umane e sociali.
E' importante, per gli amanti della ragione, come me, essere consapevoli di questa diffusa paura di ragionare per non mettere a disagio i nostri interlocutori con ragionamenti troppo coerenti, incisivi, consequenziali, insomma, troppo "razionali". Dovremmo infatti manifestare rispetto per le loro emozioni e le loro lacune razionali, anche quando esse coprono comportamenti socialmente irresponsabili o nocivi.
Vedi anche La paura inconscia della realtà.
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