Mi pare che gli esseri umani, nella nostra civiltà, tendano a nascondere o a mistificare (agli altri e perfino a se stessi) i loro sentimenti, specialmente quelli fondamentali, ovvero il piacere e il dolore, esprimendoli e riconoscendoli solo nella misura e nel modo in cui sono "socialmente corretti", ovvero accettabili secondo la morale comune.
Per quanto riguarda il dolore, inoltre, la sua manifestazione può significare una richiesta di aiuto, o l'enfatizzazione di un torto subito o di un diritto leso, per cui esso può essere manifestato ad arte, per raggiungere un obiettivo sociale. D'altra parte il dolore può significare un insuccesso o una condizione di disgrazia o povertà, per cui esso può essere nascosto ad arte, per non apparire come perdenti o emarginati.
Un discorso analogo vale per il piacere, che può significare un successo o una condizione di grazia o ricchezza, per cui esso può essere simulato per apparire come vincenti e ben integrati socialmente quando non lo si è. D'altra parte un piacere può derivare dalla soddisfazione provocata da una disgrazia che colpisce una persona invidiata o rivale, per cui può essere conveniente nasconderlo.
Il risultato di quanto sopra esposto è che è difficile capire cosa causi veramente piacere e dolore negli altri, e anche in noi stessi.
A ciò si aggiunge il fatto che, secondo me, il piacere esprime la soddisfazione di uno o più bisogni, e il dolore la loro insoddisfazione. Ne consegue che manifestare un piacere equivale a manifestare uno o più bisogni la cui soddisfazione ha causato quel piacere, e lo stesso vale, mutatis mutandis, per il dolore. E ovviamente, non tutti i bisogni umani sono "socialmente corretti" e confessabili.
Il risultato è che, per motivi analoghi a quelli relativi alla manifestazione del piacere e del dolore, è difficile capire quali siano i bisogni degli altri e di noi stessi.
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