2014/11/12

I limiti della solidarietà

Nel mondo c'è troppo poca solidarietà perché l'umanità possa uscire dallo stato miserabile in cui si trova da sempre.

Ci si chiede se la solidarietà (o la sua mancanza) sia dovuta all'influenza di una certa educazione o cultura, oppure ad un fatto innato, cioè geneticamente determinato. Che la solidarietà e l'altruismo siano basati sull'empatia e che questa sia geneticamente determinata, è un fatto ormai ampiamente dimostrato, come pure che le inclinazioni genetiche possono essere attenuate o accentuate da una certa educazione e cultura.

Esistono però altri fattori importanti, ma di cui si parla pochissimo, che determinano la qualità e la misura della solidarietà negli individui: mi riferisco al fatto che l'empatia è un processo biologico limitato dalla numerosità, dallo spazio, dal tempo e da criteri di affinità relativamente alle persone e alle situazioni che la suscitano.

Il limite numerico riguarda il fatto che non si può rispondere empaticamente che ad un piccolo numero di persone alla volta. Anzi, si potrebbe dire che la risposta empatica in un dato momento sia inversamente proporzionale al numero di persone che la provocano. Essa, infatti, non si moltiplica ma si diluisce con l'aumentare del numero di persone che ne possono beneficiare. Per fare un esempio, se una persona mi mostra la sua sofferenza, avrò una certa risposta empatica. Se le persone diventano due, la mia risposta totale sarà la stessa, ma sarà divisa (cioè diluita) tra due persone, quindi ognuna di esse ne riceverà la metà, come pure la metà della mia attenzione, dal momento che l'attenzione, come l'empatia, non è moltiplicabile.

Il limite di spazio riguarda il fatto che la risposta empatica diminuisce con la distanza tra chi stimola l'empatia e chi la prova. Per esempio, siamo molto più empatici verso persone sofferenti a noi vicine che verso quelle a noi lontane.

Il limite di tempo riguarda il fatto che la risposta empatica è inversamente proporzionale all'intervallo di tempo tra il momento (passato o futuro) dell'evento doloroso e il momento attuale. In altre parole, quanto più l'evento è lontano nel tempo, tanto minore sarà la risposta empatica. Questo vale anche per gli eventi futuri prevedibili. Cioè, quanto più a lungo termine è la previsione di una sciagura, tanto minore sarà la nostra preoccupazione e la relativa risposta empatica.

Il limite di similarità riguarda invece il fatto che noi rispondiamo empaticamente in modo proporzionale alla similarità, o affinità, che sentiamo di avere rispetto alla persone che ci mostrano la loro sofferenza. L'affinità può riguardare differenziatori di cultura, religione, razza, professione, ideologie, orientamenti sessuali, livello economico ecc.

A questo punto vorrei, come esempio di problematica di solidarietà, fare alcune considerazioni sul fenomeno dell'immigrazione clandestina via mare verso l'Italia. Questa provoca ogni anno centinaia di vittime. In tale contesto, ad ogni sciagura, si versano fiumi di parole sia da parte di ambienti laici che religiosi per esprimere solidarietà per le vittime e rimproverare il governo e i politici di non fare abbastanza per evitare le sciagure stesse. Recentemente, infatti, il papa Bergoglio ha gridato "Vergogna! Vergogna!" all'indomani di uno di questi tragici eventi in cui è morto un numero di persone particolarmente alto.

In tale contesto io osservo prima di tutto che, se non ci fossero queste gravi sciagure, la stampa non si occuperebbe del problema degli sbarchi clandestini, né della sorte degli interessati, i quali rischiano la vita per emigrare perché la loro vita è disumana e insopportabile. Ma questo non ci tocca perché si tratta di persone lontane dai nostri occhi e comunque numerosissime.

Inoltre non capisco cosa dovrebbe fare il governo per evitare le sciagure; forse dovrebbe imbarcare su navi militari i clandestini presso le coste di partenza (per esempio in Egitto o Tunisia) e portarli in Italia in tutta sicurezza? Oppure, visto che i clandestini provengono da paesi ancora più remoti come la Siria, l'Afganistan, il Sud Sudan ecc. e affrontano viaggi per terra molto pericolosi, il governo italiano potrebbe imbarcarli su aerei militari dai loro paesi di argine per volare direttamente verso l'Italia evitando i rischi del viaggio per terra e di quello per mare? In caso affermativo, si dovrebbe stabilire quante persone trasportare e, siccome il numero di richiedenti sarebbe altissimo rispetto alle reali possibilità, quali criteri di selezione applicare, sapendo che gli esclusi tenteranno di immigrare clandestinamente con i soliti metodi, e quindi non si riuscirebbe comunque ad evitare le sciagure di cui abbiamo parlato all'inizio.

Anche volendo essere solidali cosa dovremmo fare? Forse ogni famiglia italiana dovrebbe ospitare nella sua abitazione una famiglia siriana o afgana o sudanese? Dovremmo costruire case per ospitare tutti i profughi che sono pronti a rischiare la vita pur di lasciare il loro paese? E dare loro un lavoro decente? Con quali soldi? Con quali datori di lavoro? Con quale economia? L'Italia dovrebbe fare altri debiti per ospitare milioni di profughi sapendo che comunque ci sarebbero clandestini che moriranno in mare perché non saranno stati inclusi nei contingenti di profughi che l'economia e la finanza italiana è in grado di assorbire?

Mi piacerebbe sentire la proposta del papa a tale proposito.

Purtroppo la solidarietà non solo è limitata per i motivi che ho detto sopra, soprattutto quello della numerosità dei candidati da beneficiarne, ma è anche mistificata e spesso ipocrita.

Si direbbe che esiste un "campo empatico" intorno ad ognuno di noi, al di fuori del quale le persone che soffrono ci sono indifferenti. Finché il barcone di clandestini riesce ad arrivare con successo in Italia, i clandestini restano al di fuori del nostro campo empatico; appena il barcone va in avaria, essi entrano improvvisamente nel campo empatico, ma allora è spesso troppo tardi per fare qualcosa. In altre parole, non è tanto il grado di sofferenza di una persona a stimolare la nostra risposta empatica, ma la distanza spaziale e temporale della manifestazione del dolore rispetto al "qui ed ora".

Per concludere, non si può affrontare intelligentemente e produttivamente il tema della solidarietà se non si è consapevoli della sua natura e dei suoi limiti, che ho cercato di esporre in questo articolo.

Nessun commento:

Posta un commento

Blog di Bruno Cancellieri