Nonostante la sua importanza per la vita sociale, l'etica è molto trascurata sia a livello accademico che popolare, ad eccezione dei contesti religiosi, che ne detengono praticamente il monopolio e lo esercitano secondo principi tradizionali vecchi di secoli.
Di etica si parla poco e male, cioè in modo approssimativo e superficiale a livello popolare, mentre, a livello accademico, se ne parla in modo talmente astratto, e a volte astruso, che i trattati di etica sono inutilizzabili nella vita pratica, oltre che incomprensibili ai più.
Come spiegare la ritrosia della gente ad occuparsi di etica nonostante la sua importanza per tutti gli esseri umani e per la società?
Secondo me una possibile spiegazione è che vi sia, in ognuno di noi, una paura inconscia di essere giudicati moralmente perché riteniamo, sempre inconsciamente, di non essere del tutto innocenti.
Per l'inconscio, un giudizio morale negativo equivale all'esclusione dalla comunità, ad una punizione, alla perdita di dignità sociale, al pubblico disprezzo e altre cose terribili di questo tipo, per evitare le quali, la soluzione più semplice è liberarsi dell'etica, negarne l'importanza, considerarla addirittura nociva, o semplificarla e banalizzarla ad un punto tale che sia facile, per l'interessato, risultare innocente.
Le scuse tipiche che danno le persone per giustificare la loro riluttanza ad occuparsi di etica sono: "nessuno può stabilire con certezza cosa sia bene o male", "in nome di principi etici sono stati commessi crimini contro l'umanità", "discutere di etica divide le persone, crea conflitti" ecc.
Più aumenta la nostra libertà di comportarci come più ci piace, più aumenta la nostra responsabilità morale e più abbiamo paura dell'etica, perché essa comporta un giudizio morale implicito.
La soluzione? Accettare questa paura e, nonostante essa, occuparci di etica, parlarne con le persone che ci circondano e affrontare con coraggio e consapevolezza qualsiasi giudizio morale implicito risutante dei ragionamenti che faremo insieme agli altri.
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