2019/05/30

Sullo statuto mistificato della coscienza

Il testo che segue è un mio riassunto di un articolo di Luigi Anèpeta pubblicato in Nilalienum. (Vedi anche Introduzione a Luigi Anèpeta)

L’uomo ha ancora oggi, normalmente, una visione del mondo naturale, sociale e di se stesso sostanzialmente falsa, incompleta e illusoria. Essa è basata su una mentalità condivisa caratterizzata da convinzioni false e lacunose tramandate attraverso l’educazione e ribadite dalla cultura dominante. Tali convinzioni servono a ridurre la complessità e mutevolezza della realtà in visioni semplificate e stabili, che diano l’illusione di avere un controllo su quello che succede nella propria mente, nella società e nella natura.

La rivoluzione contestataria degli anni 70, che avrebbe dovuto avviare l’umanità verso una maggiore autoconsapevolezza, trasparenza e criticità superando il conformismo di massa, fallì a causa della configurazione ideologico-politica di matrice dichiaratamente marxista che assunse rapidamente, che esprimeva un profondo disprezzo nei confronti della coscienza e del modo di essere normale o normalizzato e la presunzione di potersi ergere a giudici implacabili di un mondo rimasto immerso nelle brume della falsa coscienza. Un tale atteggiamento non poteva che dar luogo ad un netto rigetto del movimento contestatario da parte delle masse.

I presupposti di quella rivoluzione erano tuttavia giusti e lo sono ancora oggi. Meritano pertanto di essere ripresi in considerazione alla luce degli sviluppi più recenti delle scienze umane e sociali e delle neuroscienze.

Le figure che più di altri hanno contribuito a demistificare la cultura del loro tempo sono state Darwin, Marx, Nietzsche e Freud.

Darwin ha ricavato l'evoluzione della specie umana da un meccanismo (la selezione naturale) che assegna ad essa una natura animale e definisce come casuale la sua comparsa; Marx ha scoperto che, nel rapportarsi al mondo storico-sociale, la coscienza umana cede alla suggestione delle ideologie correnti, scambiando l'apparenza per l'essenza delle cose; Freud, oltre ad avere identificato nell'Es un bagaglio pulsionale ancestrale di natura animalesca, ha radicalmente contestato sia la pretesa unità dell'Io sia il senso di padronanza che l'uomo ricava da essa; Nietzsche, infine, ha avanzato il dubbio che i valori più elevati sui quali si fonda la nostra civiltà potrebbero essere semplicemente funzionali ad impedire la selezione sociale e l'evoluzione dell'umanità verso uno stadio più avanzato e autentico.

La coscienza umana si rapporta con tre mondi: l'ambiente naturale, il mondo storico-sociale, all'interno del quale si danno relazioni interpersonali, e il mondo interno, percepito come fondamento della propria identità.

Nel rapporto con l'ambiente naturale, la mistificazione è dovuta essenzialmente ai limiti percettivi e cognitivi della coscienza umana quando essa funziona spontaneamente, vale a dire non riflessivamente. La mistificazione percettiva e cognitiva dell'ambiente naturale può essere superata solo in virtù di uno sforzo che permette all'Io cosciente di sviluppare una concezione scientifica della realtà.

Per quanto riguarda la percezione della società, è importante considerare la presenza di recinti mentali collettivi dovuti soprattutto al fenomeno dell’attenzione selettiva, che ignora tutti i segnali che contraddicono la mentalità acquisita. In virtù dell'attenzione selettiva, ogni individuo giunge a credere che la sua visione del mondo sia corroborata da troppe prove tratte dall'esperienza reale per poter essere messa in discussione. In realtà essa può essere anche del tutto mistificata.

Per quanto riguarda la percezione di se stessi, è importante considerare che la coscienza rappresenta verosimilmente non più del 20% dell'attività mentale complessiva e che l'io cosciente, in nome del suo bisogno supremo di unità, di coesione e di coerenza, adotta meccanismi di repressione e di rimozione nei confronti di tutti gli aspetti interni contraddittori, quindi costruisce un'immagine di sé unitaria che è falsificata.

Tale realtà è riconducibile al fatto che ogni essere umano alberga due nature - l'una sociale, l'altra individuale - sottese da logiche del tutto diverse: la prima infatti assume il soggetto come parte indifferenziata del gruppo cui appartiene e di cui è funzione; l'altra viceversa lo assume come ente distinto da tutti gli altri, unico e irripetibile.

Questa doppia natura è costitutiva della soggettività umana, ma non è facilmente accettata perché ciò richiederebbe la consapevolezza di albergare due "anime" - l'una tendenzialmente socio-centrica, l'altra ego- centrica - la cui interazione non è mai priva di un'intrinseca tensione.

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